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Musica e cervello

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Il ruolo della musica

La musica è presente in ogni cultura e occupa un ruolo di primo piano nella vita quotidiana di ciascuno.

Può indurre emozioni profonde e per questo rappresenta un’esperienza emotiva particolarmente gratificante per chi la ascolta.

Solo in tempi relativamente recenti le formulazioni teoriche sulle potenzialità della musica di suscitare emozioni o di alterare l’umore sono state accompagnate da ricerche empiriche, in particolare grazie allo sviluppo delle neuroscienze cognitive e dei relativi strumenti di indagine, che hanno reso possibile lo studio diretto dell’attività cerebrale durante la produzione e la percezione di suoni musicali.

Spesso si considera la musica come il linguaggio delle emozioni: la sua capacità di evocare ed esprimere emozioni ne costituisce la caratteristica primaria e fondamentale.

La musica esprime emozioni che gli ascoltatori percepiscono, riconoscono e da cui vengono emotivamente toccati.

Inoltre, diversi studi hanno suggerito che il motivo più comune per cui si ascolta la musica è quello di poter influire sulle emozioni, per modificarle, liberarle, sintonizzarsi con il proprio stato emotivo, rallegrarsi, consolarsi, ridurre lo stress.

La maggior parte delle persone fa esperienza quotidiana della musica, spesso associandola ad una reazione affettiva: il riconoscimento nostalgico di una delle proprie canzoni preferite ascoltata alla radio, la frustrazione verso una certa musica diffusa in un centro commerciale, la gioia di ascoltare un magnifico concerto dal vivo, la tristezza evocata dalla colonna sonora di un film.

Gli effetti della musica

La musica ha da sempre degli effetti sul nostro cervello, dimostrati da ricerche scientifiche in continuo aggiornamento, per cui oltre alla finalità ludica e di piacere, insita in essa, scopriamo anche una sua attitudine terapeutica.

Essa ci accompagna fin dal periodo della gravidanza, lungo tutto l’arco della vita. È così che la ricerca scientifica si è interrogata su ciò che accade nel cervello nel momento in cui si ascolta della musica.

Le dinamiche di interazione tra vibrazioni del mondo esterno e cervello passano attraverso processi di integrazione di aree cerebrali specifiche, che correlano le emozioni ed i significati alle complesse strutture cerebrali di produzione delle sensazioni sonore.

La PET

La Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), permette di misurare e registrare l’attività del cervello umano in risposta ad uno stimolo.

La PET è infatti in grado di farci osservare piccole variazioni del flusso di sangue nelle diverse aree cerebrali. Un aumento di flusso sanguigno, in una specifica zona del cervello, corrisponde ad un aumento dell’attività cerebrale di quella zona.

Si può osservare che, a partire dalle aree temporali di ricezione delle vibrazioni sonore, un essenziale punto di snodo dell’informazione generata da differenti tipologie di vibrazioni e le zone talamiche responsabili dell’attivazione di stati emotivi, è situato nella zona immediatamente sottostante al lobo frontale.

Un diverso smistamento dell’informazione avviene attraverso procedimenti di integrazione che raggiungono l’area di Wernicke, collocata al centro circa dell’emisfero superiore sinistro del cervello, area, quest’ultima, deputata all’interpretazione cognitiva dei suoni.

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Percezione della musica

Dato che le vibrazioni esterne passano anche attraverso il corpo, anche il cervello delle persone non udenti riesce a percepire la musica, così come il bambino, ancora nell’utero materno, inizia ad apprendere come produrre, dalle vibrazioni esterne, la sensazione interiore del suono e riconoscerne il timbro, il tono e la frequenza.

Vari studi recenti, che si sono focalizzati sulla neurologia della musica, del rumore, della parola nonché sulle soglie dell’udito, hanno conosciuto un rapido sviluppo e, traendo spunto da essi, è possibile sottolineare come le note e le scale musicali vengano mediate primariamente dall’emisfero sinistro mentre le melodie dall’emisfero destro del nostro cervello.

Pertanto è possibile capire come gli effetti subliminali agiscano indipendentemente dalla nostra volontà cosciente e come essi, nella loro ripetitività e per effetto della pressante continuità di ascolto della musica, possano divenire condizionanti.

Inoltre la musica può essere utilizzata anche con effetto terapeutico.

Le differenze tra i due emisferi cerebrali, nell’elaborazione dei suoni, possono generare positive ricadute terapeutiche in soggetti con difficoltà di comunicazione, qualora si esercitino opportunamente i processi di integrazione cerebrale che correlano le emozioni sonore ai suoni stessi, favorendo in tal modo un buon ascolto musicale.

Anche se l’interesse per l’elaborazione cerebrale della musica affascina i neuroscienziati da più di un secolo, è solo nell’ultimo decennio che l’argomento è diventato un ambito di studio intenso e sistematico, e questo è avvenuto perché, in ambito neuroscientifico, ci si è resi conto che la musica offre un’opportunità unica per comprendere meglio l’organizzazione del cervello umano, sollevando quesiti importanti su una varietà di funzioni cognitive complesse.

Essa rappresenta infatti un prezioso strumento di indagine non soltanto per i sistemi uditivi e motori coinvolti nella percezione e nella produzione musicale, ma anche per le interazioni multisensoriali, la memoria, l’apprendimento, l’attenzione, la progettualità, la creatività e le emozioni.

Gli elementi neurofisiologici

Analizziamo, ora, quali sono gli elementi neurofisiologici che ci consentono di ascoltare musica.

Il suono arriva nell’orecchio esterno, composto da padiglione auricolare e canale uditivo esterno, attraversa l’orecchio medio, composto da incudine, timpano, martello, staffa e tromba di Eustachio, per poi giungere nell’orecchio interno composto da coclea e labirinto.

Tramite il talamo, il suono viene trasmesso alla corteccia uditiva primaria, situata nel lobo temporale, all’interno della quale, le cellule sonore reagiscono a stimoli sonori sinusoidali così come a stimoli acustici complessi, come il timbro e i suoni multipli.

A questo livello si distinguono le funzioni dei due emisferi cerebrali:

  • sinistro: compete l’ascolto analitico e in esso avvengono l’elaborazione di intervalli e ritmo, la composizione e l’esecuzione musicale;
  • destro: compete l’ascolto complessivo; in esso avviene la percezione del tempo ed è fondamentale per riconoscere ed eseguire

Il coinvolgimento di entrambi gli emisferi del cervello ci porta a comprendere quanto l’ascolto musicale sia un’attività cerebrale molto complessa.

Ogni qualvolta ascoltiamo della musica, nel nostro cervello si verificano alcuni processi. In particolar modo, viene coinvolta l’amigdala che riceve input direttamente dal talamo prima che ci sia una elaborazione da parte della corteccia.

L’amigdala funziona come un archivio della memoria emozionale; senza di essa la vita sarebbe privata di molti significati personali, il che spiega risposte immediate e inspiegabili come, ad esempio, la commozione profonda ed improvvisa che ci prende nell’ascoltare un determinato brano musicale.

La corteccia invece impiega più tempo per reagire agli stimoli musicali, richiamando alla memoria ricordi particolari legati alla musica ascoltata.

L’amigdala ha anche strette connessioni con l’ipotalamo che valuta il comportamento emotivo e garantisce una rapida risposta agli stimoli in ingresso, soprattutto a quelli importanti ai fini della sopravvivenza.

Ascoltare musica stimola anche il rilascio di endorfine.

La musica infatti ha la caratteristica privilegiata di passare, senza alcuna mediazione, attraverso gli apparati uditivi del sistema limbico, che è il centro in cui sorgono le risposte emotive, mentre il linguaggio verbale agisce prevalentemente sui piani analitici e logici dell’emisfero sinistro.

Tratto dal lavoro di Giulia Di Seclì

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