Arteterapeuta in hospice: fluttuare tra dolore e colore

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Essere Arteterapeuta in hospice è stato come fluttuare in una bolla di sapone. Quando arrivavo al primo piano con l’ascensore, sapevo che non appena si aprivano le porte era come giungere in uno spazio a sé stante.

Quando il mio medico di base, dopo aver saputo che stavo conseguendo una formazione come arteterapeuta mi ha proposto di svolgere lì il mio tirocinio ricordo di essermi subito chiesta se ne fossi stata all’altezza.

Al di fuori della mia eventuale professionalità in quanto tirocinante, nel caso in cui il dirigente infermieristico avesse accettato, riflettevo su quanto fosse importante essere all’altezza su più fronti nel momento in cui si entra in un hospice, ma soprattutto nel riuscire a capire il giusto approccio con la persona.

Una volta preparato il progetto di tirocinio da presentare al dirigente e una volta accettato, ci fu una prima presentazione dello stesso a tutta l’équipe, poi ebbe inizio questo mio viaggio all’interno della “bolla di sapone”.

Ricordo ancora il primo giorno, quando Ilaria (Infermiera) mi ha accompagnato in ogni stanza ed ho conosciuto le persone che vi erano ospitate, quelle che io fatico a chiamare “pazienti”, perché il loro trovarsi in quelle stanze andava ben oltre l’essere sofferenti e il sopportare.

A volte mi chiedevo se fosse giusto farmi dare del tu anziché del lei, allora mi immaginavo come sarebbe stato se mi avessero dato del lei e mi accorgevo che non sarei stata me stessa.

Certo il rischio era che si venisse ad instaurare maggior confidenza, ma alla fine il mio compito era anche quello di saper creare quel giusto equilibrio che permettesse alla persona di fronte a me, da un lato di sentirsi a proprio agio a tal punto da potersi fidare nell’esprimere contenuti del proprio vissuto interiore e dall’altro di percepirmi come una figura professionale.

Durante tutto il mio percorso ho cercato prima di tutto di mettermi in un ascolto quanto più empatico possibile della persona, così da poter cercare di capire quali fossero le sue esigenze in quel momento, che non era detto fossero le stesse esigenze il quarto d’ora dopo.

Questo portava, metaforicamente parlando, a “rimescolare i colori” di continuo. Anche perché in un dato momento poteva essere presente il dolore e l’attimo dopo no, o viceversa.

In base alle sensazioni che riuscivo a cogliere valutavo nel “qui ed ora” se e quale attività di arteterapia proporre loro. Era proprio come fluttuare tra dolore e colore.

Come scrive la mia compagna di studi e collega arteterapeuta Benedetta Carradori nel suo libro «Boll-Evoluzione®. Bolle di sapone in arteterapia.»: “Le bolle sono attimi che aiutano a rimanere nel presente. Per una bolla di sapone apparentemente non esiste il futuro, perché scoppia dopo poco tempo.

E richiama il bambino ad essere attento Qui ed Ora”.

Tratto dal lavoro di Sara Benatti

#FaiDellaTuaPassioneLaTuaProfessione
#AccadeSoloInArtedo
#IdeePerCambiareIlMondo

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