Ascolto silenzioso: un laboratorio di Arteterapia

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La mia seconda esperienza laboratoriale di Arteterapia, inserita in un contesto completamente nuovo, completamente differente. Non appena arrivata scorgo seduto, durante l’allestimento del setting, un saggio, dalla silhouette affascinante e mistica, immediata la curiosità ed il raccoglimento attorno alla sua figura.

Contestualmente ad un breve giro di presentazioni, ci invita a scrivere il nostro nome e a renderlo visibile facilitando la conoscenza tra di noi.

La sua voce tranquilla, la stabilità della sua postura mi hanno avvolta e catapultata in una realtà surreale. Immediatamente dopo questo breve momento introduttivo, Axel si sposta al centro del setting, nel quale erano posizionati diversi blocchi di argilla che inizia a tagliare e a distribuire ad ognuno di noi con grande cura ed attenzione, facendoci comprendere il valore del suo dono. Attraverso questo semplice gesto, carico di simbolismo, stava iniziando a prendersi cura di noi, ci stava invitando a partecipare al suo “sacro” banchetto.

Decide di lasciarci del tempo durante il quale iniziamo a prendere confidenza con questo materiale sconosciuto alla maggior parte di noi, cominciamo a toccarlo a modellarlo a sentirne l’odore e la fresca sensazione sulle dita.

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Intimoriti, incuriositi, concentrati, iniziamo ad usare le nostre mani come strumenti: polpastrelli capaci di creare con frenesia, mani chiuse come palette per sperimentare la frustrazione, l’impossibilità del fare, palmi in grado di liberare energia, imprimendo sull’argilla le nostre emozioni più primitive. “Ascoltare: voce del verbo comprendere”, parola chiave di un laboratorio di Arteterapia all’insegna del silenzio, mirato all’ascolto di noi stessi e alla presa di coscienza dei nostri limiti.

Scolpire, modellare e trasformare l’argilla così arrendevole ma terribilmente esigente, per cercare il nostro spazio di libertà, per imparare a porci domande, fondamentali per dare avvio ad una ricerca lunga ma sana. Il processo creativo ribadisce Axel, docente Artedo di Arteterapia, ha bisogno di novità, di creatività, di vitalità ha bisogno di cercare il luogo dell’ascolto in cui e attraverso cui elevarsi, senza temere il tempo, piuttosto cercando di comprendere che proprio nel “processo del fare” spesso troviamo la soluzione.

Le prime opere prendono forma, stiamo entrando finalmente in contatto con noi stessi. Dopo una breve verbalizzazione sui nostri lavori, l’attenzione si sposta dal singolo al gruppo, l’opera di ognuno prende vita in un nuovo contesto, nel quale entriamo in relazione con gli altri, nel quale ci viene chiesta la capacità di ascoltare l’altro, di aprirci all’altro, alla sua diversità, di fonderci con l’altro, di sforzarci mentalmente, imparando a sacrificare il nostro egocentrismo in favore del gruppo.

Nuova fase nuova prospettiva, dalla tridimensionalità dell’argilla passiamo alla bidimensionalità di un foglio bianco sul quale imprimiamo il punto di vista, da noi privilegiato, dell’opera scultorea creata inizialmente, prima della fusione con le altre. Ecco comincia a farsi strada la frustrazione di “limitarsi” a tracciare dei segni in bianco e nero, la gomma non è ammessa. Non è ammessa in quanto violenza, mortificazione.

La metafora è inevitabile, così come nella vita non possiamo cancellare i nostri vissuti più dolorosi, altrettanto avremmo dovuto essere capaci di fare su quel foglio: non dovevamo avere paura di sbagliare, piuttosto avremmo dovuto essere più coraggiosi, avremmo dovuto osare come con la scultura, avremmo dovuto essere pronti a ricominciare, concedendoci più opportunità e clemenza. Inizia a comparire il colore, in grado di trasportare emotivamente e attraverso cui richiamare le emozioni più incontrollabili.

Durante il laboratorio abbiamo appreso l’importanza di prenderci il nostro tempo, di accettare la diversità come fonte di arricchimento, ma soprattutto abbiamo respirato e imparato ad ASCOLTARE e ad ascoltarci silenziosamente, immobilizzati dalla solidità dell’argilla.

 

Tratto dal lavoro di Sabina Andriano

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