La musica come strumento di integrazione sociale

La musica come strumento di integrazione sociale

La storia di Elena J.

Questa è la storia di Elena J., una bambina di 11 anni, famiglia proveniente dal Bangladesh, arrivata in Italia 25 anni fa, ceto medio: il papà è portiere di uno stabile, la mamma impiegata, ha due fratelli gemelli più grandi, normodotati.
Da piccolissima inizia a manifestare i primi segni di quella che poi sarà diagnosticata come una gravissima forma di Autismo.

I suoi sensi sono quasi del tutto inibiti (sente pochissimo, vista altrettanto debole, capacità di movimento ridotta), presenta le tipiche stereotipie: non riesce a mangiare da sola, grande salivazione non controllata.

La musica come strumento di integrazione sociale

L’incontro

Arriva nel mio laboratorio/classe di Musicoterapia per l’integrazione una mattina dello scorso gennaio; gli altri bambini già la conoscono, nella scuola la sua situazione è ben nota a tutti.

Iniziamo subito con gli esperimenti di improvvisazione sonora legata al movimento: una parte della classe (circa una decina di bimbi) suona gli strumentini idiofoni del set Orff che ho portato personalmente mentre gli altri si muovono nello spazio cercando di “empatizzare” il loro corpo con i suoni che ascoltano.

Elena mostra immediatamente una forte curiosità per gli stimoli nuovi che le arrivano: una bimba si offre di tenerla per mano cercando di farla muovere col gruppo dei “danzatori”, ma incontra una grande resistenza da parte di Elena, molto più interessata invece a capire da dove provengono i suoni e le vibrazioni che avverte.

Il setting

Nella sala c’è anche un piano verticale, con cui accompagno le improvvisazioni dei bambini, fondendo le mie armonie con i loro suoni percussivi. Inizialmente facciamo toccare (sempre con l’aiuto della bimba che la tiene per mano e poi sottobraccio) un po’ di strumentini ad Elena e poi la avviciniamo alla cassa armonica del piano.

Vorrei sottolineare un dettaglio niente affatto trascurabile: la scuola ci ha permesso di usare un ambiente, dove anni fa si tenevano lezioni di danza classica, molto più grande della tradizionale aula scolastica; ho fatto rimuovere i grandi specchi fissati alle pareti per non distrarre o disturbare i bambini e fin da subito ho compreso invece quanto potesse essere importante sfruttare la naturale risonanza e capacità di trasmettere vibrazioni del pavimento, di un bellissimo legno “vero”, su cui potevamo muoverci ed esprimerci liberamente; aggiungiamo a tutto questo la presenza di un pianoforte verticale ed ecco descritto il nostro setting.

Tutti (me compreso) indossiamo calzini antiscivolo e abbiamo eliminato le scarpe (con grande gioia dei bambini non abituati alla sensazione del contatto dei piedi senza scarpe sul pavimento) in attesa che le condizioni climatiche migliorino in modo tale da permetterci di stare a piedi nudi senza raffreddarci.

L’improvvisazione

Ma torniamo ad Elena; molto lentamente riesco a farle appoggiare i palmi delle mani prima sul coperchio del piano e successivamente sulla parete posteriore del mobile.

Inizio a suonare una serie di accordi in minore e minore settima, ricchi di armonici (non triadi ma accordi composti da 4 note o più); vedo che i continui movimenti della sua testa, comuni a tutti i non vedenti e ipovedenti alla continua ricerca della luce e di riferimenti sonori per orientarsi, iniziano a rallentare per poi fermarsi del tutto, fino a quando accade una piccola, grande magia: gli altri bambini capiscono che c’è una nuova atmosfera in classe da quando è arrivata Elena e immediatamente si adeguano al mio ritmo cercando di seguire un andamento dolce e rilassato; nessuno emette suoni con la voce, il movimento corporeo, che non si è mai interrotto, rallenta e, a un mio cenno, tutti si siedono in cerchio.

Pian piano i bambini poggiano per terra gli strumentini e mi ascoltano improvvisare in silenzio; Elena segue il tutto in piena presenza (più tardi la sua insegnante di sostegno, che la conosce dalla prima elementare, mi dirà che non l’aveva mai vista così calma e rilassata) e accenna anche a qualche sorriso al variare dei modi e tempi musicali.

Muove le mani e i piedi come se cercasse la fonte di quelle benefiche vibrazioni, ma dopo pochi minuti la campanella di fine lezione interrompe questa magia e ci prepariamo per l’uscita da scuola.

Da quel giorno, attraverso un costante lavoro, ho visto Elena migliorare il suo stato psicofisico in maniera esponenziale. Ho fatto conoscenza anche dei genitori con i quali abbiamo instaurato un buon rapporto. Naturalmente sono preoccupatissimi all’idea del giorno in cui Elena dovrà cambiare scuola, sono in apprensione soprattutto per il suo futuro, come ogni famiglia che ha bambini con handicap, ma questa è un’altra storia.

Tratto dal lavoro di Angelo Molino

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Staff Artedo

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